L’Italia è un Paese sempre più vecchio e pagare le pensioni negli anni a venire potrebbe diventare un problema. Come spiega il Quinto Rapporto Itinerari Previdenziali, negli ultimi 40 anni la speranza di vita alla nascita è passata da 69,6 anni nel 1976 a 80,6 nel 2016 per gli uomini e da 76,1 a 85,1 per le donne.
Ciò comporta – e comporterà – delle conseguenze per quanto riguarda la sostenibilità del sistema pensionistico. Bastano del resto pochi numeri per rendere l’idea: nel corso degli ultimi 2-3 decenni la percentuale di persone ultra64enni è aumentata dal 15% del 1991 al 22,3% del 1° gennaio 2017. Allo stesso modo è cresciuta anche notevolmente la presenza dei “grandi vecchi”. La popolazione ultranovantenne è infatti passata dallo 0,4% del 1991, all’1,2% di oggi.
In sostanza – anche come conseguenze del calo delle nascite – diminuiscono le persone in età da lavoro, mentre aumentano coloro che percepiscono un assegno previdenziale.
Già, ma chi pagherà loro la pensione?
“Rispetto alla composizione per età – si legge ancora nel rapporto -, le previsioni per i prossimi 4-5 decenni mettono in luce il massiccio e continuo aumento degli ultra64enni sino a raggiungere il valore massimo di poco meno di 20 milioni di unità attorno al 2050 – di cui 8 milioni saranno persone con almeno 80 anni – mentre prospettano una diminuzione, senza soluzione di continuità, del totale di residenti in età inferiore a 20 anni (nel 2065 saranno oltre due milioni in meno rispetto a oggi)”.
L’indice di dipendenza degli anziani, ossia il rapporto tra ultra64enni e residenti in età attiva 20-64, è ovviamente destinato ad aumentare. Così come la spesa pensionistica che nel nostro Paese del resto è già molto alta. Le persone che lavorano saranno sempre meno. Se attualmente ci sono 37 anziani per ogni 100 adulti in età lavorativa, fra circa 20 anni ce ne saranno 58 e addirittura 65 tra 30 anni.
Ultime notizie pensioni, i migranti non sono la soluzione
Che fare allora? Secondo il rapporto di Itinerari Previdenziali, è una pia illusione credere che il problema possa essere aggirato “grazie alle migrazioni dall’estero e all’apporto (pur importante) che esse forniscono ringiovanendo la popolazione ospite e contribuendo alla sua natalità”.
Il motivo principale è che “anche la popolazione straniera sta progressivamente perdendo alcuni comportamenti demografici peculiari. In particolare, si riscontrano già i primi segnali di un avvicinamento delle donne straniere ai modelli di riproduzione delle autoctone, caratterizzati da valori del tasso di fecondità totale (numero medio di figli per donna) decisamente ridotti”.
Chi pensa che i migranti possano risolvere il problema delle pensioni, ha una visione eccessivamente ancorata al presente: ovvero tende a considerare il numero dei soggetti attualmente a carico del sistema pensionistico e il corrispondente numero di persone in età da lavoro, ma lo fa senza tenere conto che vi sarà anche un ‘domani’.
Spiega infatti il Rapporto di Itinerari Previdenziali
“L’immissione di immigrati in una popolazione crea un beneficio immediato sul fronte dello svecchiamento che tuttavia spesso si attenua, se proprio non si annulla, nel bilancio di medio-lungo periodo”.
Pensioni, cosa si può e si deve fare
Secondo lo studio per rendere sostenibile il sistema pensionistico è più che mai necessario intervenire su alcune leve a livello macroeconomico.. In tal senso “si dovrebbe poter efficacemente intervenire sulla crescita di alcuni fattori, quali la produttività, la partecipazione al mercato del lavoro (specie da parte femminile) e l’occupazione, ma si tratta di obiettivi che – almeno visti con l’ottica del nostro tempo – richiedono uno straordinario impegno e non sono certo di facile realizzazione”.
„Ma come sappiamo, sia le forze politiche che le organizzazioni sindacali, sul tema delle pensioni hanno un approccio molto diverso: meglio l’uovo oggi che una pensione agli italiani di domani.“
Stefano Iorio
La Redazione